FRODI NEL C.D. “SUPERBONUS” E NOVITÀ IN MATERIA PENALE

Quali novità in materia penale apporta il decreto-legge n. 13/2022, recante «Misure urgenti per il contrasto alle frodi e per la sicurezza nei luoghi di lavoro in materia edilizia, nonché sull’elettricità prodotta da impianti da fonti rinnovabili» (c.d. decreto frodi)?

Basti richiamare a tal fine l’art. 2, che modifica la rubrica e il testo degli artt. 240-bis, 316-bis, 316-ter e 640-bis del codice penale, volto a rafforzare il contrasto alle frodi in materia di erogazioni pubbliche, a seguito delle notizie di operazioni illecite che hanno riguardato le agevolazioni fiscali note come “superbonus”, la cui portata è sintetizzabile con le dichiarazioni pubbliche rilasciate dal direttore dell’Agenzia delle entrate e dal ministro dell’Economia.

Il primo, Ernesto Maria Ruffini, ha recentemente affermato che sono stati individuati dall’Agenzia delle entrate e dalla Guardia di finanza «4.4 miliardi di crediti inesistenti e che si palesa un quadro preoccupante nel quale la criminalità organizzata non ha avuto difficoltà ad insinuarsi».

Il secondo – in maniera ancora più diretta – ha rilevato, nella conferenza stampa al termine di un recente Consiglio dei Ministri, che «tutto si può fare ma resta fondamentale evitare ulteriori truffe che sono tra le più grandi che questa Repubblica abbia visto».

Pertanto il Governo, con l’emanazione di tale atto avente forza di legge, si è prodigato per raggiungere un complicato equilibrio tra la lotta alle frodi e la necessità di salvaguardia dell’economia e dell’attività imprenditoriale, tutelata peraltro dall’art. 41 Costituzione.

Si ritiene che, quantomeno in un’ottica penalistica, l’esecutivo abbia raggiunto tale obiettivo mediante delle laconiche ma incisive modifiche agli articoli citati:

  • introduzione degli artt. 640, co. 2, n. 1 e 640-bis quali c.d. “reati spia” della confisca allargata;
  • modifiche agli artt. 316-bis, 316-ter e 640-bis p., mediante la più puntuale indicazione nella rubrica degli stessi di reati commessi nel conseguimento di erogazioni pubbliche – in luogo del generico riferimento allo Stato – e della equiparazione delle varie condotte materiali tra i medesimi, con la particolare aggiunta, per gli ultimi due reati, dell’ottenimento di “sovvenzioni pubbliche” oltre che di meri “contributi”.

Invero, per completezza, la novella, all’art. 3, incide, sebbene su un piano prettamente amministrativo, sul termine dell’utilizzo di crediti di imposta successivamente alla decadenza (es. in caso di prescrizione) del sequestro penale degli stessi.

Ciò posto, si ritiene che gli aspetti maggiormente significativi della riforma sul sistema penale possano essere sintetizzati in due profili differenti, che inevitabilmente producono delle tangibili ricadute a livello pratico.

Il primo di essi riguarda l’affiancamento, quale condotta rilevante per i reati di “indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato” e di “truffa aggravata in tema di erogazioni pubbliche” della condotta dell’ottenimento di “sovvenzioni” oltre che di meri “contributi”.

Occorre quindi valutare, ai fini della comprensione della valenza ampliativa della novella e delle ricadute, conseguenti, in materia di diritto intertemporale, se la nozione di “sovvenzione” sia ontologicamente differente rispetto a quella di “contributi”, ovvero sia ricompresa tale ultima figura. Nel primo caso, inevitabilmente, il legislatore creerebbe una parziale nuova incriminazione non applicabile retroattivamente per i principi di irretroattività e calcolabilità del rischio penale.

A tal fine è sufficiente richiamare la definizione del termine “sovvenzione” offerta dal Devoto-Oli dizionario: “la sovvenzione è il contributo finanziario concesso con particolari agevolazioni di restituzione a individui, enti e organizzazioni varie, per assicurare lo svolgimento e il proseguimento della loro attività”.

In sostanza, quindi, mentre come noto il mero contributo ha una valenza di compartecipazione alla spesa, la sovvenzione è una dazione dell’ente pubblico al privato che non prevede un vero e proprio contributo tout court, ma è una sorta di incentivazione dell’ente allo svolgimento di una attività (ad esempio se si acquista una autovettura con un contributo conferito dallo Stato perché il veicolo ha caratteristiche ecologiche, si ripartisce un quantum di conferimento tra privato e Stato, mentre con la sovvenzione l’ente pubblico concede un prestito, anche nella forma delle agevolazioni fiscali, e poi il ricevente prosegue con lo svolgimento dell’attività da attuare con crismi particolari dettati dall’ente).

Ne consegue che la sovvenzione, in quanto condotta ontologicamente diversa rispetto al contributo, è, ai fini penalistici, irretroattiva in quanto nuova incriminazione ai sensi dell’art. 2, co. 1, c.p., di tal che, considerato che la materia delle agevolazioni da c.d. “superbonus” rientra a pieno in tale nuovo elemento costitutivo, gli autori non potranno essere puniti per le condotte poste in essere fino al momento di entrata in vigore del decreto.

Quindi il legislatore sembrerebbe aver colmato una lacuna evidente a livello di fattispecie astratta, ma, quantomeno sotto tale profilo, non può aver inciso a livello penalistico sulle frodi già poste in essere anche mediante infiltrazioni mafiose.

Tuttavia tale inevitabile limitazione – derivata dai principi cardine in materia penale in tema di successione di leggi penali nel tempo – potrebbe essere quantomeno lenita dal secondo aspetto rilevante della novella, ovvero quello incidente sull’art. 240-bis c.p. e, quindi, sulla c.d. “confisca allargata”.

Esso risulta funzionale a rendere aggredibili anche beni nella titolarità o disponibilità degli autori che non hanno pertinenza con il reato c.d. “spia” come la truffa aggravata per il conseguimento delle erogazioni pubbliche, purchè tale situazione giuridica o di fatto sul bene risulti ingiustificata alla luce del reddito prodotto dall’autore o dalla propria attività economica, con la sola limitazione del noto criterio della ragionevolezza temporale (vedi, su tutte, C. Cost n. 33/2018 e n. 24/2019).

Conseguentemente, considerato che tale misura viene considerata dalla giurisprudenza dominante una misura di sicurezza atipica, che rende applicabile il noto principio del c.d. “tempus regit actum” di cui all’art. 200 c.p., si potrebbe ragionevolmente sostenere che il divieto di retroattività in malam partem delle condotte di frodi a seguito di sovvenzioni pubbliche può essere arginato dall’applicazione di tale misura, con effetti sostanzialmente afflittivi per l’autore, anche per condotte poste in essere antecedentemente alla novella in commento.

Difatti, rilevando il tempo di applicazione della misura, ciò che conta è che in tale momento temporale sia entrato in vigore un atto normativo che legittimi, per tali reati, l’applicazione della stessa, di tal che sarebbe sufficiente una tempestiva richiesta del pubblico ministero, durante le indagini, anche per fatti commessi in epoca antecedente all’introduzione della novella ma comunque iscritti nel registro ex art. 335 c.p.p.

Luigi Fimiani

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