Hate speech su Internet: una proposta di legge necessaria, ma incompiuta

Il 10 marzo scorso alcuni deputati, tra cui spiccano sicuramente nomi illustri quali quello di Laura Boldrini, Debora Serracchiani ed Alessandro Zan, hanno presentato la proposta di legge n. A.C. 2936, recante “Misure per la prevenzione e il contrasto della diffusione di manifestazioni d’odio mediante la rete internet”, iniziativa che si pone sulla scia di provvedimenti quali la Carta dei diritti in Internet (promossa nel 2014 e definitivamente integrata, modificata ed approvata nel 2015); l’istituzione in seno alla Camera della Commissione “Jo Cox” sull’intolleranza, la xenofobia, il razzismo ed i fenomeni d’odio; la pubblicazione de “La piramide dell’odio in Italia” (luglio 2017), testo che analizza il substrato italiano alla ricerca dei motivi e delle possibili soluzioni a tale problematica; il disegno di legge n. 362, proposto e sostenuto dalla senatrice a vita Liliana Segre, recante “Istituzione di una Commissione parlamentare di indirizzo e controllo sui fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza”; l’introduzione dell’articolo 612-ter c.p., che prevede il perseguimento del reato di “revenge porn”, ossia la diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti.
La proposta di legge del 10 marzo, articolata in quattro capi ed elaborata attraverso anche l’aiuto di esperti del settore, mira, quindi, ad ampliare il raggio e la portata di quest’azione di responsabilizzazione per quanto concerne le piattaforme digitali e gli utenti delle stesse, integrando a tal fine un aspetto repressivo (con modifiche al codice penale) ad un aspetto di educazione teso a rendere l’utente “consapevole e rispettoso”, ma anche i gestori di siti internet maggiormente attenti e proattivi davanti a tematiche quali cyber bullismo, fenomeni di odio, diffusione di fake news, manifestazioni cosiddette di “hate speech”.
Nello specifico della proposta di legge, il capo II – art. 3 reca modifiche al codice penale, con riferimento agli articoli 604-bis e 604-ter (Propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa e circostanza aggravante del suddetto articolo), tesi a punire ogni forma di discriminazione e di violenza per motivi razziali, etnici e religiosi, aggiungendo a queste motivazioni, quelle legate al sesso, al genere, all’orientamento sessuale, all’identità di genere e alla disabilità.
L’art. 5 disciplina la possibilità poi, per gli utenti della rete di effettuare una segnalazione ai gestori della presenza in rete di contenuti manifestamente illeciti, formulando un’espressa istanza per l’adozione di tutte le misure dirette ad impedire l’accesso ai contenuti dei siti o a rimuovere gli stessi. Per sopperire a ciò, grava sul gestore l’obbligo di predisporre una procedura “efficace, trasparente, permanente, facilmente riconoscibile e direttamente accessibile” da chiunque per acquisire immediatamente conoscenza della segnalazione. L’analisi e la verifica sul contenuto è effettuata tramite un organismo di autoregolamentazione composto da esperti ed analisti. Avverso tali decisioni devono essere previste procedure di riesame delle stesse e, in caso di rigetto definitivo dell’istanza di rimozione, è ammesso ricorso al Garante per la protezione dei dati personali. Nel caso in cui il contenuto della segnalazione sia manifestamente illecito, il gestore provvede a segnalarlo alla polizia postale ed è tenuto a rimuovere o bloccare il contenuto entro 24 ore dalla ricezione della segnalazione. La conservazione di tale dato è consentita ai soli fini probatori e per un periodo massimo di centottanta giorni dalla data di rimozione. Sul gestore, inoltre, grava anche il compito di assicurare che il medesimo contenuto illecito (rimosso o bloccato) non venga nuovamente pubblicato o condiviso (misura questa di difficile applicazione per quanto riguarda multinazionali operanti nell’ambito dei social network).
Al capo III, l’art. 8 attiene ed amplia il cosiddetto “diritto all’oblio” (all’oscuramento, alla rimozione o al blocco della diffusione dei propri dati o immagini personali nella rete) anche qualora le condotte non integrino specificatamente le fattispecie previste dall’art. 167 (trattamento illecito dei dati) del Codice Privacy (di cui al decreto legislativo n. 196/2003). Tale diritto è quindi esteso anche ai minori d’età, tra i più assidui, ma anche più esposti, “frequentatori” della piazza di internet. Per l’esercizio di questo diritto, quindi, l’interessato, ovvero il genitore o chi ne esercita la responsabilità genitoriale sul minore medesimo, può presentare istanza al titolare del trattamento dei dati o al gestore per l’oscuramento, la rimozione o il blocco di contenuti espliciti. Qualora tale istanza venga rigettata, non accolta, o nelle more dell’azione del gestore stesso o ancora qualora non sia possibile identificare il titolare del trattamento dei dati, essa può essere riproposta anche al Garante per la protezione dei dati personali che si attiva entro quarantotto ore dal ricevimento dell’istanza stessa. Il Garante ha quindi un ruolo effettivo super partes dal momento che può essere adito anche dal gestore o da chiunque intenda contestare la legittimità dell’oscuramento stesso. A tal proposito, la sanzione amministrativa pecuniaria che il Garante può irrogare va da 500.000 euro a 5.000.000 di euro. Avverso tali decisioni, è sempre ammesso il ricorso al giudice ordinario.
Una cospicua parte delle sanzioni così irrogate è predisposta per l’educazione digitale, con l’obiettivo di realizzare negli istituti scolastici, programmi volti a promuovere un uso più consapevole e responsabile della rete stessa.
L’analisi della proposta di legge fa sorgere due spunti di riflessione: se è vero che il fine perseguito è estremamente valido e condivisibile, perplessità sorgono con particolare riferimento alle segnalazioni di contenuti espliciti e alla finalità cui destinare le somme derivanti dalle sanzioni amministrative pecuniarie.
La proposta di legge, infatti, prevede, all’art. 6, che qualora il gestore del sito riceva più di cento segnalazioni di contenuti illeciti nel corso dell’anno solare, debba redigere un rapporto semestrale relativo alla gestione delle segnalazioni stesse. Ora, nell’ordine delle grandezze dei dati trattati, affianco alla piccola società che tratta dati di pochi dipendenti si stagliano colossi quali Facebook o Google, che quotidianamente trattano dati di centinaia di milioni di persone. Sostenere che un medesimo apparato di controllo possa essere applicato in modo indistinto sia ad una società di medie e piccole dimensioni, sia ad un colosso internazionale, è quanto meno difficile da immaginare. Cento segnalazioni per una piccola e media impresa sono un numero alto ma sostenibile e non scriminante di possibili abusi della normativa; cento segnalazioni per un gigante quale Facebook, che vanta ben due miliardi di iscritti, è un numero effimero e non utile a valutare né la portata dei reclami degli utenti stessi né l’atteggiamento avuto dal gestore stesso.
A ciò si aggiunga come la mera finalità “educativa” cui destinare l’ammontare delle sanzioni non colma vuoti e lacune insite nel sub strato culturale italiano. La soluzione non è solo quello di educare i più piccoli in quanto soggetti maggiormente esposti ai rischi del web, ma ricalibrare l’approccio stesso di ogni singolo utente, a prescindere dalla sua età, con le piattaforme di rete.
Questo disegno di legge sicuramente ben si incardina in un percorso già perseguito nelle ultime legislature, ma ancora ben distante dal dirsi concluso. L’introduzione della fattispecie di revenge porn, l’ampliamento e la modifica del diritto all’oblio, un accesso maggiormente controllato alla rete sono solo alcuni dei provvedimenti proattivi utili a segnare un cambiamento di paradigma e di mentalità, volto da una parte a punire il singolo comportamento, dall’altro a estendere il raggio di tutela per un accesso più maturo alla rete. D’altro canto, troppe volte si è sentito caldeggiare l’idea che non spetta al Legislatore normare una materia fluida quale il web: ammettere i limiti del proprio sistema normativo vuol dire mancare di una visione più ampia. Proprio Internet nella sua accezione di “worldwide” è, ad oggi, uno dei banchi di prova maggiormente complessi da affrontare per un Legislatore, ma non per questo deve rappresentare una montagna insormontabile. Le leggi non devono fermarsi nel normare una situazione già in essere, ma anticipare, con le previsioni del caso, una realtà sì fluida, ma che permea le nostre vite, a maggior ragione in uno scenario in cui i contatti umani, spesso, sono ridotti a quelli avuti dietro una tastiera.

 

Simone Spinelli

Trainee Lawyer

Studio legale Napoletano &Partner 

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