La rilevanza penale delle emissioni odorigene

Gli odori non erano normati a livello nazionale almeno fino all’intervento del legislatore del 2017 quando ha introdotto nel codice ambientale una disposizione dedicata alle emissioni odorigene: l’art. 272-bis, ossia le «emissioni convogliate o diffuse aventi effetti di natura odorigena» [art. 268, lett. f-bis)].

La novella prevede che la normativa regionale o le autorizzazioni possono prevedere misure per la prevenzione e la limitazione delle emissioni odorigene degli stabilimenti. Tali misure possono anche includere, ove opportuno, alla luce delle caratteristiche degli impianti e delle attività presenti nello stabilimento e delle caratteristiche della zona interessata, e fermo restando, in caso di disciplina regionale, il potere delle autorizzazioni di stabilire valori limite più severi con le modalità previste all’articolo 271:

  • valori limite di emissione espressi in concentrazione (mg/Nm³) per le sostanze odorigene;
  • prescrizioni impiantistiche e gestionali e criteri localizzativi per impianti e per attività aventi un potenziale impatto odorigeno, incluso l’obbligo di attuazione di piani di contenimento;
  • procedure volte a definire, nell’ambito del procedimento autorizzativo, criteri localizzativi in funzione della presenza di ricettori sensibili nell’intorno dello stabilimento;
  • criteri e procedure volti a definire, nell’ambito del procedimento autorizzativo, portate massime o concentrazioni massime di emissione odorigena espresse in unità odorimetriche (ouE/m³ o ouE/s) per le fonti di emissioni odorigene dello stabilimento;
  • specifiche portate massime o concentrazioni massime di emissione odorigena espresse in unità odorimetriche (ouE/m³ o ouE/s) per le fonti di emissioni odorigene dello stabilimento.

La nuova norma introduce uno specifico potere per la normativa regionale e per le Autorità Competenti, in sede di autorizzazione, di prevedere misure di prevenzione e limitazione appositamente definite per le emissioni odorigene: ogni regione potrà regolare le emissioni odorigene degli stabilimenti presenti nel suo territorio con propri provvedimenti regionali, dettando, altresì, propri indirizzi e linee guida al fine di fornire utili strumenti alle Autorità Competenti per il rilascio delle autorizzazioni, nonché agli operatori del settore, per fornire un quadro tecnico di riferimento.

Ciò detto, il reato di getto pericoloso di cose ex art. 674 c.p. è configurabile anche in presenza di “molestie olfattive” promananti da impianto munito di autorizzazione per le emissioni in atmosfera e rispettoso dei relativi limiti: ciò perché non esiste una normativa statale che prevede disposizioni specifiche, quindi, valori soglia in materia di odori, con la conseguente individuazione del criterio della “stretta tollerabilità” quale parametro di legalità dell’emissione, attesa l’inidoneità ad approntare una protezione adeguata all’ambiente ed alla salute umana di quello della “normale tollerabilità”, previsto dall’art. 844 c.c. in un’ottica strettamente individualistica.

La giurisprudenza, in proposito, ha costantemente ritenuto che «le esalazioni maleodoranti (…) costituiscono offesa al benessere dei vicini e grave pregiudizio per il tranquillo svolgimento della loro vita di relazione, sì da concretizzare quelle molestie di cui all’art. 674 c.p.» (Cass. Pen., Sez. III, Sent. n. 49298 del 22 novembre 2012).

Il bilanciamento fra la tutela di tale bene e i principi costituzionali di concreta offensività e tassatività è stato effettuato precisando che «le esalazioni di «odore» moleste, nauseanti o puzzolenti intanto possono configurare il reato di cui all’art. 674, c.p. in quanto presentino un carattere non del tutto momentaneo e siano «intollerabili o almeno idonee a cagionare un fastidio fisico apprezzabile (es. nausea, disgusto) ed abbiano un impatto negativo, anche psichico, sull’esercizio delle normali attività quotidiane di lavoro e di relazione (es. necessità di tenere le finestre chiuse, difficoltà di ricevere ospiti, ecc.)» (Cass. Pen., Sez. III, Sent. n. 3042 del 21 gennaio 2008; Cass. Pen., Sez. III, Sent. n. 3678 del 1 dicembre 2005).

Infatti, sotto il profilo fenomenico, le emissioni odorigene sono caratterizzate da grande discontinuità, da estrema soggettività della percezione e della classificazione quale esalazione molesta e da difficoltà di stima obiettiva: tutte caratteristiche che mal si conciliano con la natura di extrema ratio propria della sanzione penale, con le garanzie costituzionali a favore del reo e con il principio di tassatività. Sotto altro versante si deve osservare che, come il codice dell’ambiente e quello civile (art. 844 cod. civ.) hanno cura di precisare espressamente, la fattispecie delle emissioni odorigene è di per sé in stretta relazione con le attività produttive che la originano e con le connesse esigenze economico-sociali, anch’esse care al Legislatore costituzionale e di segno contrastante rispetto alla tutela del benessere dei singoli e dell’ambiente. Se ne può dedurre che si tratta di una fattispecie che si colloca all’incrocio fra interessi primari in reciproca contrapposizione (l’iniziativa economica, l’ambiente, la sfera relazionale/esistenziale dell’individuo) e, allo stesso tempo, è dotata di caratteristiche fenomeniche e offensive di non facile coordinamento con i principi-cardine del diritto penale.

Il requisito della molestia si configura laddove gli odori cagionino un fastidio fisico apprezzabile (es. nausea, disgusto) ed abbiano un impatto negativo, anche psichico, sull’esercizio delle normali attività quotidiane di lavoro e di relazione.

avv. prof. Enrico Napoletano

 

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