Pechino, Washington e la transizione energetica. Una nuova “corsa allo spazio”?

“Pace”, “giustizia” e “multilateralismo”. Sono le parole chiave del discorso pronunciato da Xi Jinping per celebrare il 50esimo anniversario dell’ingresso della Cina comunista nell’Organizzazione delle Nazioni Unite.

«La Cina si oppone risolutamente a tutte le forme di egemonia e politica di potere, unilateralismo e protezionismo» ha affermato il presidente cinese, auspicando una maggiore cooperazione globale nei dossier più importanti del momento, come conflitti regionali, terrorismo, sicurezza informatica e cambiamento climatico. Xi ha inoltre esortato la comunità internazionale a promuovere i valori di pace, sviluppo, giustizia, democrazia, libertà, definendoli «valori comuni di tutta l’umanità», un’espressione introdotta per la prima volta lo scorso 1° luglio nel suo discorso per il centenario del Partito Comunista Cinese (anche detto PCC).

Senza mai pronunciarne il nome, il leader cinese ha chiaramente chiamato in causa gli Stati Uniti, ritenuti i veri responsabili della crisi in Afghanistan nonché dell’escalation nello Stretto di Taiwan. La ricorrenza è particolarmente simbolica dal momento che l’ingresso cinese nell’ONU ha coinciso con l’estromissione di Taipei dai tavoli internazionali. Era il 1971 quando la guerra fredda entrava in una nuova fase, con l’inizio della crisi sino-sovietica e il conseguente avvicinamento tra Washington e Pechino. Oggi le tensioni sempre più ideologizzate tra le due superpotenze ricordano la vecchia divisione in blocchi.

Negli ultimi cinquanta anni, però, lo scenario è notevolmente mutato. Oggi la Cina, forte della leadership a livello mondiale in ambito economico, può contare sull’appoggio di una folta schiera di nazioni intenzionate ad adottarne lo stesso modello di sviluppo, perseguendo la crescita economica senza dover snaturare il proprio sistema politico.

Ed è in questo scenario che il Comitato centrale del PCC ha presentato un documento dal titolo: «Guida operativa per il picco di anidride carbonica e la neutralità carbonica nella piena e fedele attuazione della nuova filosofia di sviluppo», testo che contiene, di fatto, una reale e concreta dichiarazione di intenti verso le zero emissioni nette entro il 2060. Rimangono fissi gli obbiettivi di miglioramento dei settori industriale e agricolo, con cenni alle tecnologie di cattura e stoccaggio della CO2. Altri obiettivi si concentrano, infine, sull’efficientamento degli edifici e dei trasporti, con un capitolo dedicato all’impatto ambientale dei commerci internazionali e dei progetti in ambito “Belt and Road Initiative” (vale a dire l’opera portata avanti dalla Cina per collegare i commerci tra l’Europa orientale, l’Africa e l’Asia).

Secondo gli analisti il documento arriva in tempo per ribadire la leadership cinese prima della COP26 e per confermare ai governi locali la continuità del cambiamento in corso, nonostante la crisi energetica che ha costretto il ritorno alle scorte di carbone.

Provando a semplificare questo scenario, le economie mondiali possono suddividersi in due macro aree. Da una parte, il “blocco” statunitense che, superato la difficile e complessa presidenza Trump, vede ora i frutti di un nuovo rinascimento con una particolare attenzione nei confronti della neutralità carbonica; dall’altra, il “blocco” cinese che, avendo approfittato della situazione emergenziale dovuta alla diffusione del Covid-19, ha riprogrammato i propri scenari economici futuri puntando fortemente su una forzata e repentina transizione energetica.

Ora la domanda è: un discorso così complesso come la neutralità carbonica, le zero emissioni nette, le nuove tecnologie, può realmente essere ridotto ad una contrapposizione tra le due super potenze?

Negli anni ’60, in piena Guerra Fredda, l’allora Presidente Kennedy in un famoso discorso annunciò al mondo che gli Stati Uniti sarebbero sbarcati sulla Luna entro la fine del decennio. Quando pronunciò quelle parole, in realtà, gli Stati Uniti non avevano ancora nessun progetto in merito. Fu una dichiarazione di facciata, una sfida al blocco sovietico.

La paura è questa. La transizione energetica in vista della neutralità carbonica non può essere ridotta a meri slogan, a dichiarazioni di intenti sì importanti, ma vuote di significato.

Ciò che si chiede, quindi, è l’apertura di un tavolo di confronto tra i Governi, non solo tra Cina e Stati Uniti, un programma che sia condiviso e fattibile perché il futuro del mondo non diventi lo scenario per una nuova corsa allo spazio.

Simone Spinelli

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