Responsabilità datoriali da rischio di contagio Covid-19 nei luoghi di lavoro: riflessioni a margine dell’emendamento proposto in Commissione al Senato

Le Commissioni permanenti VI (Finanze) e X (Attività produttive, commercio e turismo) hanno approvato, nella giornata di ieri, il testo definitivo della Legge di conversione del c.d. decreto liquidità (D.L. n. 23/2020), su cui il Governo ha posto la fiducia.

La novità riguarda il tanto discusso tema della responsabilità del Datore di Lavoro nei casi in cui un proprio dipendente abbia contratto, nelle more della c.d. fase 1 della pandemia, o contragga, nella c.d. fase 2 di riapertura aziendale, il Coronavirus (COVID-19) in occasione dello svolgimento delle proprie mansioni lavorative.

Sul tema, nelle ultime settimane, si era acceso un dibattito tra il mondo professionale e istituzionale, che vedeva all’orizzonte il rischio di possibili contestazioni in sede civile e penale per omessa o insufficiente o inadeguata predisposizione delle misure di prevenzione igienico-industriali che fossero astrattamente idonee a contenere il rischio concreto di un contagio epidemico nei luoghi di lavoro.

A tal proposito, il 15 maggio, l’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro (INAIL) è intervenuta sull’argomento precisando che «il datore di lavoro risponde penalmente e civilmente delle infezioni di origine professionale solo se viene accertata la propria responsabilità per dolo o per colpa». L’INAIL chiarisce ulteriormente che «dal riconoscimento come infortunio sul lavoro non discende automaticamente l’accertamento della responsabilità civile o penale in capo al datore di lavoro (…) Sono diversi i presupposti per l’erogazione di un indennizzo INAIL per la tutela relativa agli infortuni sul lavoro e quelli per il riconoscimento della responsabilità civile e penale del datore di lavoro che non abbia rispettato le norme a tutela della salute e sicurezza sul lavoro». Al riguardo, si deve ritenere che «la molteplicità delle modalità del contagio e la mutevolezza delle prescrizioni da adottare sui luoghi di lavoro, oggetto di continuo aggiornamento da parte delle autorità in relazione all’andamento epidemiologico, rendano peraltro estremamente difficile la configurabilità della responsabilità civile e penale dei datori di lavoro».

Su questa linea interpretativa si inserisce l’emendamento proposto al Senato che prevede l’inserimento nel c.d. decreto liquidità di un nuovo articolo 29-bis, rubricato “Obblighi dei datori di lavoro per la tutela contro il rischio di contagio da COVID-19”: «Ai fini della tutela contro il rischio di contagio da COVID-19, i datori di lavoro pubblici e privati adempiono all’obbligo di cui all’articolo 2087 del codice civile mediante l’applicazione delle prescrizioni contenute nel protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del COVID-19 negli ambienti di lavoro, sottoscritto il 24 aprile 2020 tra il Governo e le parti sociali, e successive modificazioni e integrazioni, e negli altri protocolli e linee guida di cui all’articolo 1, comma 14, del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, nonché mediante l’adozione e il mantenimento delle misure ivi previste. Qualora non trovino applicazione le predette prescrizioni, rilevano le misure contenute nei protocolli o accordi di settore stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale».

La formulazione del nuovo art. 29-bis parrebbe introdurre una vera e propria presunzione di conformità allo standard di diligenza richiesto al Datore di Lavoro, dall’art. 2087 del codice civile, che per fronteggiare il rischio di contagio da COVID-19 nei luoghi lavorativi adotta le misure di prevenzione indicate nel protocollo e nelle linee guida governative per il proprio comparto industriale.

La domanda da porsi, tuttavia, è se la mera adozione delle misure di prevenzione igienico-sanitarie esaurisce o no lo standard di diligenza richiesto. 

A questo proposito, occorre ricordare che l’articolo 2087 del codice civile, rubricato “Tutela delle condizioni di lavoro”, costituisce la fonte del dovere-potere alla base della posizione di garanzia che il Datore di Lavoro assume nei confronti del proprio personale contro il rischio di contagio epidemico sul lavoro: «L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro».

Dunque, se da un lato la predeterminazione scritta nel protocollo e nelle Linee guida di regole di condotta di tipo precauzionale («colpa specifica») garantisce certezza del diritto per il Datore di Lavoro, in grado di conoscere le misure e di poter orientare efficacemente la propria condotta riducendo il rischio di contagio aziendale, dall’altro lato, però, la colpa specifica presenta un limite: occorre verificare di volta in volta se queste norme scritte esauriscano la misura di diligenza richiesta dall’art. 2087 al Datore di Lavoro nelle situazioni aziendali concrete, riaprendo, in tal modo, uno spazio a standard di diligenza propri degli usi sociali, basati su una generica misura precauzionale («colpa generica»). 

D’altro canto, è lo stesso art. 2087 che richiede al Datore di Lavoro di verificare in concreto l’idoneità delle misure e prescrizioni impartite dal Governo «secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica». Ciò risulta tanto più vero se si considera che, ad oggi, non vi sono certezze scientifiche in merito alla natura del Coronavirus, alla sua reale potenzialità dannosa per l’essere umano e alla sperimentazione di un vaccino idoneo a contrastarne l’ulteriore contagio. 

In una situazione di incertezza scientifica di questo tipo, risulta davvero difficile credere ad una presunzione di conformità allo standard di diligenza richiesta al Datore di Lavoro se non sussistono altrettante certezze in merito alla reale efficacia preventiva in concreto delle misure prescritte per il contrasto del contagio epidemico: il dubbio non è vincibile sulla base delle conoscenze scientifiche in atto disponibili. 

Nell’ambito di queste attività, allora, il Datore di Lavoro dovrà compiere ex novo un giudizio prognostico relativo alla modalità di svolgimento e alla pericolosità della stessa al fine di valutare, sulla base delle conoscenze possedute, l’idoneità o no delle misure di prevenzione prescritte a soddisfare l’intera misura di diligenza richiesta dall’art. 2087 del codice civile.

Si tratta, quindi, di situazioni in rapporto alle quali può venire in rilievo quel principio di precauzione che, seppur inidoneo a produrre automaticamente nuove regole cautelari, funge da criterio atto a sollecitare un rafforzamento dei doveri di attenzione e di informazione tendenti a verificare col massimo scrupolo la fondatezza dei pericoli e dei rischi paventabili in azienda. 

Enrico Napoletano

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