Responsabilità degli Enti e reati ambientali

Come noto, con il Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231 il Legislatore ha introdotto nel sistema penalistico italiano un nuovo modello di responsabilità degli enti collettivi e delle persone giuridiche per cui adesso possono essere chiamate a rispondere, con il proprio patrimonio, dell’illecito amministrativo dipendente dal reato commesso da un proprio organo – sia esso un soggetto che riveste una posizione apicale nell’azienda, sia esso un subordinato all’altrui direzione o vigilanza – qualora l’illecito penale venga commesso nell’interesse o a vantaggio della società.

Con il passare del tempo, la maggiore sensibilità maturata nei confronti della tutela dell’ambiente ha riacceso il dibattito sulla responsabilità penale delle persone giuridiche (1), al fine di estendere la stessa anche alle fattispecie ambientali. L’occasione per superare l’impasse l’ha creata l’ineludibile necessità di corrispondere agli obblighi comunitari, derivanti dalle Direttive 2008/99/CE, sulla tutela penale dell’ambiente, e 2009/123/CE, sull’inquinamento provocato dalle navi, dalle quali è scaturita la necessità, per ciascuno Stato membro, di prevedere la penale rilevanza di taluni fatti descritti nelle direttive stesse.

Cosicché, a seguito di messa in mora da parte della Commissione Europea, il Legislatore del 2011 si è visto costretto a dare seguito ad un’attuazione tardiva e limitatissima alla Direttiva attraverso l’emanazione del Decreto Legislativo 7 luglio 2011, n. 121 recante “Attuazione della direttiva 2008/99/CE sulla tutela penale dell’ambiente, nonché della direttiva 2009/123/CE che modifica la direttiva 2005/35/CE relativa all’inquinamento provocato dalle navi e all’introduzione di sanzioni per violazioni”. Nella relazione di accompagnamento al Decreto Legislativo, il Legislatore delegato ha ritenuto di escludere l’introduzione di nuove fattispecie penali, rinviando, così, ad un successivo intervento normativo, limitandosi ad introdurre nel codice penale soltanto due nuove fattispecie contravvenzionali: gli artt. 727-bis e 733-bis, riferiti rispettivamente all’uccisione, distruzione, prelievo o possesso di esemplari di specie animali o vegetali selvatiche e al danneggiamento di habitat all’interno di un sito protetto.

La vera novità, però, attiene l’estensione della responsabilità amministrativa degli Enti, di cui al Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231, a numerose fattispecie di reati ambientali, fino a quel momento esclusi, con la previsione non solo di sanzioni pecuniarie amministrative, anche molto severe, ma anche di sanzioni interdittive temporanee, fino all’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività per le aziende utilizzate in maniera stabile per infrangere le norme sul traffico dei rifiuti.

Tra i reati presupposto della responsabilità amministrativa dell’Ente, sono stati inseriti nel catalogo del nuovo art. 25-undecies:

  • i reati di cui agli artt. 727-bis e 733-bis, riferiti rispettivamente all’uccisione, distruzione, prelievo o possesso di esemplari di specie animali o vegetali selvatiche e al danneggiamento di habitat all’interno di un sito protetto;
  • in materia di rifiuti, si rinviene l’attività di gestione di rifiuti non autorizzata (art. 256 D.lgs. n. 152/06), il traffico illecito di rifiuti (art. 259 D.lgs. n. 152/06), le attività organizzate finalizzate al traffico illecito di rifiuti (art. 260 D.lgs. n. 152/06);
  • l’omessa bonifica di siti contaminati (art. 257 D.lgs. n. 152/06);
  • in materia di tutela delle acque, si richiamano le sanzioni penali previste all’art. 137 del D.lgs. n. 152/06, commi 2, 3, 5, 11 e 13.

Per vero, nella sua primogenita formulazione, l’art. 2 dello schema di decreto legislativo in esame contemplava tra i reati presupposto della responsabilità dell’ente anche numerose altre fattispecie incriminatrici previste dal codice dell’ambiente, in particolare quelle concernenti l’autorizzazione integrata ambientale di cui all’articolo 29-quattuordecies, nonché quelle previste nel medesimo decreto ai commi 1, 4, 7, 8, 9, 12 e 14 dell’articolo 137 in materia di inquinamento idrico e quelle contenute nei commi 1, 2, 3, 4, e 6 dell’articolo 279 in materia di emissioni atmosferiche. In altre parole, il progetto originario di estensione della responsabilità dell’ente ai reati ambientali prevedeva un più generalizzato coinvolgimento delle persone giuridiche nel sistema di repressione degli illeciti ambientali penalmente rilevanti, mentre il testo definitivamente approvato ha compiuto scelte di gran lunga più selettive, che hanno soddisfatto solo in parte le prescrizioni delle direttive europee e che, come tali, sono divenute oggetto di aspre critiche da parte della dottrina (2): in primo luogo, si è evidenziato come il D.lgs. n. 121/2011, anziché seguire le indicazioni comunitarie, volte a costruire la responsabilità dell’ente attorno ad una serie di reati dichiaratamente di danno e pericolo concreto, puniti qualora commessi con dolo o colpa grave, si sia limitato a riproporre il sistema delineato dal codice dell’ambiente, basato in gran parte su fattispecie contravvenzionali di natura formale (3), venendosi così a contrapporre un modello di reati di evento (voluto dalle direttive europee) a un modello di reati di pericolo presunto o astratto (attuato, invece, dalla legge italiana) (4). In secondo luogo, poi, è stata criticata la decisione del legislatore di prevedere sanzioni interdittive pur in presenza di fattispecie che, in concreto, possono risultare scarsamente lesive per la loro natura contravvenzionale, oltre alla scelta di non inserire condotte riparatorie post factum con effetto estintivo della responsabilità dell’ente e di non valorizzare, ai fini del giudizio di adeguatezza dei Modelli organizzativi, il conseguimento di certificazioni ambientali (Standard Iso 14001 elaborato dalla International Standardization Organization e al Regolamento europeo Emas (5)), come invece previsto nella contigua materia della sicurezza sul lavoro.

Larga parte della dottrina ha, poi, rilevato significative omissioni nell’elenco di cui all’articolo 25-undecies: è stato contestato il mancato inserimento, all’interno del medesimo, del reato di abbandono e deposito incontrollato dei rifiuti, punito dall’articolo 256, comma 2, nonché di alcuni reati posti a tutela della gestione delle discariche previsti dall’articolo 16 del D.lgs. 13 gennaio 2003, n. 36 o, come detto, la scelta di escludere le contravvenzioni dell’articolo 29-quattuordecies, atteso che le attività dei soggetti tenuti a dotarsi e a rispettare l’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) sono assai pericolose per l’ambiente. Non meno incomprensibile è la decisione di configurare la responsabilità degli enti solo per lo scarico di acque reflue industriali contenenti sostanze pericolose, escludendo dal catalogo la contravvenzione di cui al primo comma dell’articolo 137, posto che lo scarico di sostanze anche non intrinsecamente pericolose ma in quantitativi rilevanti è condotta idonea a determinare un grave danno all’ecosistema. Infine, profili di contraddittorietà sono stati rinvenuti nella mancata inclusione nel catalogo delle contravvenzioni di abbandono e deposito incontrollato dei rifiuti di cui al successivo articolo 256, comma 2, e ciò in considerazione del fatto che tale disposizione contempla espressamente tra gli autori propri del reato addirittura i “rappresentanti degli enti”.

Si è sottolineata, poi, l’incongruenza di un sistema in cui si prevedevano quali reati presupposto numerose contravvenzioni suscettibili di essere definite con oblazione (essendo puniti alternativamente con l’arresto o l’ammenda) senza la contestuale modifica dell’articolo 8 del decreto 231, per il quale la responsabilità dell’ente sussiste anche quando l’autore del reato non è stato identificato o non è imputabile ovvero se “il reato si estingue per una causa diversa dall’amnistia” (6).

Come rilevato, inoltre, dalla stessa giurisprudenza della Suprema Corte (7), a fronte della previsione di un numero rilevante di reati meramente formali generatori della responsabilità degli enti, il D.lgs. n. 121/2011 ha omesso di inserire nell’art. 25-undecies i delitti previsti dal codice penale, quali l’avvelenamento di acque destinate all’alimentazione di cui agli articoli 439 e 452 c.p. o le fattispecie di causazione del c.d. disastro innominato riconducibili agli articoli 434 e 449 c.p., di certo non recuperabili nella diversa prospettiva di una loro imputazione quali delitti-scopo del reato di cui all’articolo 416 c.p., ricompreso nell’elenco delle fattispecie presupposto ex articolo 24-ter.

Quanto detto in ordine alla lacunosità insita nella disciplina della responsabilità degli enti da reati ambientali e alle problematiche applicative che essa pone, consente in primo luogo di dare atto delle occasioni di riforma che il legislatore avrebbe potuto cogliere in questi ultimi anni per porre rimedio alle criticità rilevate.

Tra le opportunità mancate di riforma, è necessario citare innanzitutto il D.L. n. 136/2013, convertito con modificazioni nella Legge n. 6/2014, adottato per fronteggiare le emergenze ambientali, in particolare quelle legate al settore rifiuti della Regione Campania, con il quale è stato introdotto nel Codice dell’Ambiente, all’articolo 256-bis, il nuovo reato di combustione illecita di rifiuti, che punisce con la reclusione da due a cinque anni “salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque appicca il fuoco a rifiuti abbandonati ovvero depositati in maniera incontrollata” (8). Tale fattispecie, nonostante la gravità della condotta che intende punire, non è stata inclusa nel catalogo dei reati-presupposto di cui all’articolo 25-undecies, estendendo dunque la lista dei “grandi assenti” e i problemi legati al quadro sanzionatorio in materia ambientale (9). Il decreto 231 viene citato, infatti, solo per richiamare le sanzioni interdittive previste dall’articolo 9, co. 2, poste a carico non già dell’ente, bensì del “titolare dell’impresa” o del “responsabile dell’attività comunque organizzata”.

Un secondo intervento legislativo che anziché sanare le suesposte lacune, ha aggravato ulteriormente la situazione di incertezza insita nel sistema italiano relativo alla responsabilità delle persone giuridiche, è rappresentato dal D.lgs. n. 46/2014, recante la nuova disciplina in materia di Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA), con il quale si è riformato il quadro sanzionatorio di cui all’articolo 29-quattuordecies.

Ancora una volta il legislatore non ha colto l’opportunità per aggiornare il catalogo dei reati-presupposto attraverso l’inserimento delle fattispecie in materia di AIA – sebbene espressamente contemplate nella Direttiva 2008/99/CE – e degli ulteriori nuovi reati in materia di incenerimento e co-incenerimento di rifiuti introdotti dal medesimo D.lgs. n. 46/2014 nell’art. 261-bis del codice dell’ambiente (10).

Alle questioni rappresentate ha recentemente posto rimedio l’art. 1, co. 8, della Legge 22 maggio 2015, n. 68, la quale ha profondamente modificato il D.lgs. n. 231 del 2001 in tema di responsabilità amministrativa da reato delle persone giuridiche, estendendo il catalogo dei reati presupposto della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche dipendente da reato ai delitti inseriti nella nuova Parte VI del codice penale. Più precisamente, il comma 8 della Legge n. 68/15 introduce specifiche sanzioni pecuniarie per la commissione dei delitti di inquinamento ambientale (da 250 a 600 quote), disastro ambientale (da 400 a 800 quote), inquinamento ambientale e disastro ambientale colposi (da 200 a 500 quote), associazione a delinquere (comune e mafiosa) aggravata (da 300 a 1.000 quote), traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività (da 250 a 600 quote), uccisione, distruzione, cattura, prelievo, detenzione di esemplari di specie animali o vegetali selvatiche protette (fino a 250 quote), distruzione o deterioramento di habitat all’interno di un sito protetto (da 150 a 250 quote).

Inoltre, con l’inserimento del comma 1-bis nel menzionato articolo 25-undecies, si specifica, in caso di condanna per il delitto di inquinamento ambientale e di disastro ambientale, l’applicazione delle sanzioni interdittive per l’ente previste dall’art. 9 del D.lgs. n. 231 del 2001 (interdizione dall’esercizio dell’attività; sospensione o revoca di autorizzazioni, licenze o concessioni; divieto di contrattare con la PA; esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi ed eventuale revoca di quelli già concessi; divieto di pubblicizzare beni o servizi). La disposizione specifica che per il delitto di inquinamento ambientale, la durata di tali misure non può essere superiore a un anno.

Da una più attenta analisi, emerge tuttavia l’inspiegabile mancato riferimento nell’art. 25-undecies ai reati di omessa bonifica (art. 452-terdecies c.p.) e di impedimento del controllo (art. 452-septies c.p.). Con particolare riguardo a quest’ultima fattispecie, è doveroso rilevare come una tale esclusione desti non poche perplessità se solo si considera che si tratta di reato la cui commissione da parte di soggetti dipendenti o inseriti ai vertici degli organigrammi aziendali potrebbe giovare in maniera incisiva nei confronti dell’ente.

Evidentemente, tali novità incidono profondamente nell’ottica della prevenzione e, di conseguenza, dell’adozione e aggiornamento dei Modelli organizzativi ex D.lgs. n. 231/2001. Se, infatti, la precedente impostazione poneva l’attenzione sul rispetto delle disposizioni normative applicabili, che venivano a definire una sorta di presidio eterodefinito cui poteva essere sufficiente adeguarsi, lo schema oggi delineato dalla riforma presenta un contesto più complesso, nel quale il focus si trasferisce sull’effettivo ricorrere dell’evento lesivo. Ne consegue che per adeguare i sistemi di prevenzione sarà necessario aggiornare il c.d. risk assesment che definisce i livelli di rischio relativi al possibile verificarsi delle ipotesi delittuose sanzionate.

In ultimo, con Decreto Legislativo 1° marzo 2018, n. 21, viene inserito nel Titolo VI-bis del codice penale il nuovo art. 452-quaterdecies che altro non è se non la trasposizione dell’originario delitto di cui all’art. 260 del D.lgs.n. 152/2006, rubricato “attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti”, senza alcuna modifica normativa. La trasposizione nel codice penale del delitto in esame risponde a mere esigenze di omogeneità sistematica delle fattispecie delittuose in materia ambientale, adesso tutte ricollocate nell’ambito codicistico del nuovo Titolo VI-bis.

In conclusione, i reati ambientali che, attualmente, costituisco il presupposto della responsabilità amministrativa dell’Ente sono: inquinamento ambientale (art. 452 bis c.p.), disastro ambientale (452 quater c.p.), delitti colposi contro l’ambiente (art. 452-quinquies c.p.), traffico ed abbandono di materiale ad alta radioattività (art. 452-sexies c.p.), attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (art. 452-quaterdecies c.p.), uccisione, distruzione, cattura, prelievo, detenzione di esemplari di specie animali o vegetali selvatiche protette (art. 727-bis c.p.), distruzione o deterioramento di habitat all’interno di un sito protetto (art. 733-bis c.p.), importazione, esportazione, detenzione, utilizzo per lo scopo di lucro, acquisto, vendita, esposizione o detenzione per la vendita o per fini commerciali di specie protette (l. 150/1992, art. 1, art. 2, art. 3 bis e art. 6), scarichi di acque reflue industriali contenenti sostanze pericolose; scarichi sul suolo, nel sottosuolo e nelle acque sotterranee; scarico nelle acque del mare da parte di navi od aeromobili (d.lgs. 152/2006, art. 137), attività di gestione di rifiuti non autorizzata (d.lgs. 152/2006, art. 256), inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o delle acque sotterranee (d.lgs. 152/2006, art. 257), traffico illecito di rifiuti (d.lgs. 152/2006, art. 259), violazione degli obblighi di comunicazione, di tenuta dei registri obbligatori e dei formulari (d.lgs. 152/2006, art. 258), false indicazioni sulla natura, sulla composizione e sulle caratteristiche chimico-fisiche dei rifiuti; inserimento nel SISTRI di un certificato di analisi dei rifiuti falso; omissione o fraudolenta alterazione della copia cartacea della scheda SISTRI – area movimentazione nel trasporto di rifiuti (d.lgs. 152/2006, art. 260-bis), sanzioni (d.lgs. 152/2006, art. 279), inquinamento doloso provocato da navi (d.lgs. n. 202/2007, art. 8), inquinamento colposo provocato da navi (d.lgs. 202/2007, art. 9), cessazione e riduzione dell’impiego delle sostanze lesive (l. 549/1993, art. 3).

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Note:

  1. La letteratura sulla responsabilità amministrativa degli enti è oggi particolarmente fiorente. A tal proposito, si veda, tra le opere enciclopediche, Fiorella, Responsabilità da reato degli enti collettivi, in Cassese (a cura di), Dizionario di diritto pubblico, vol. V, 2006, 5104. Nei trattati, si veda, De Vero, Trattato di diritto penale – Parte generale – La responsabilità penale delle persone giuridiche, vol. IV, Milano, 2008; Id., Struttura e natura giuridica dell’illecito di ente collettivo dipendente da reato, in it. dir. proc. pen., 2001, 1126; Paliero (a cura di), Commentario breve alle leggi penali complementari, Padova, 2007; Presutti-Bernasconi-Fiorio, La responsabilità degli enti – Commento articolo per articolo al d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, 2008. Nella letteratura monografica, invece, si segnala Levis-Perini, Il 231 nella dottrina e nella giurisprudenza a vent’anni dalla sua promulgazione, Bologna, Zanichelli, 2021; Id., La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, Bolgona, Zanichelli, 2014; Lattanzi, Reati e responsabilità degli enti – Guida al d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, II ed, Milano, 2010; Mazzacuva-Amati, Diritto penale dell’economia – problemi e casi, 2010, 61; Ambrosetti-Mezzetti-Ronco, Diritto penale dell’impresa, II ed., 2009, 35; Santoriello (a cura di), La disciplina penale dell’economia – fisco, banche, responsabilità penale delle società, 2008, 281; Giarda, Responsabilità “penale” delle persone giuridiche: decreto legislativo 8 giugno 2001, edizione 231, Wolters Kluwer Italia, 2007; Giunta, La punizione degli enti collettivi: una novità attesa, in A.A.V.v., La responsabilità degli enti: un nuovo modello di “giustizia punitiva”, (a cura di) De Francesco, Torino, 2004, 35. Si vedano pure i saggi di: Fimiani L., L’onere dimostrativo dell’impossibilità di reperire il profitto del reato nei confronti dell’Ente, in Cass. Pen., 2017, 09, 3336; Musco, A proposito della responsabilità amministrativa degli enti, in jus17@unibo.it, n. 1, 2008, 335; ID., I nuovi reati societari, Milano, 2007; Id., Responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, in Giusto proc., 2002, 117; Id., La società per azioni nella disciplina penalistica, in Trattato delle società per azioni, diretto da Colombo-Portale, voi. IX, tomo I, 1994; Marinucci, La responsabilità penale delle persone giuridiche, in Riv. it. dir. proc. pen., 2007, 445; Carmona, La responsabilità amministrativa degli enti: reati presupposto e Modelli Organizzativi, in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, 2006, 199; Id., La responsabilità degli enti: alcune note sui reati presupposto, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2003, 995; De Francesco, Gli enti collettivi: soggetti dell’illecito o garanti dei precetti normativi?, in Dir. pen. proc., 2005, f. 6, 753; Id. (a cura di), La responsabilità degli enti: un nuovo modello di giustizia punitiva, Torino, 2004; Id., La responsabilità della societas: un crocevia di problematiche per un nuovo “modello” repressive, in Leg. pen., 2003, 372; Id, Disciplina penale societaria e responsabilità degli enti: le occasioni perdute della politica criminale, in Dir. pen. proc., 2003, f. 8, 929; Alessandri, Note penalistiche sulla nuova responsabilità delle persone giuridiche, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2002, 33; Id., Corporate governante nelle società quotate: riflessi penalistici e nuovi reati societari, in Giur. comm., 2002, 544; Id., Riflessioni penalistiche sulla nuova disciplina, in La responsabilità amministrativa degli enti, Milano, 2002; Paliero, Problemi e prospettive della responsabilità penale dell’ente nell’ordinamento italiano, in Riv. trim. pen. ec., 1996, 1173.
  2. Pistorelli-Scarcella, Relazione dell’Ufficio del massimario, incortedicassazione.it, 2011; Scoletta, Obblighi europei di incriminazione e responsabilità degli Enti per reati ambientali (note a margine del d.lgs. 121/2011 attuativo delle direttive comunitarie sulla tutela dell’ambiente), 36.
  3. Madeo, Un recepimento solo parziale della direttiva 2008/99/CE sulla tutela penale dell’ambiente, in proc. pen., 2011, 9, 1064, secondo il quale il diritto penale dell’ambiente non è stato munito di quelle sanzioni “proporzionate, efficaci e dissuasive” né per quanto riguarda le condotte poste in essere da persone fisiche autrici del reato, né per gli enti, rispetto ai quali si realizza una “forte anticipazione della tutela penale, estesa a comportamenti prodromici rispetto alla realizzazione di tali fatti dannosi, in quanto tali, sforniti di per sé di una diretta lesività per i beni giuridici tutelati, con un effetto moltiplicatore delle sanzioni a carico delle imprese palesemente sproporzionato”, con la conseguenza che “il quadro normativo appare assai disallineato rispetto alle direttive: alcune condotte possono essere sanzionate anche se in concreto possono rivelarsi inoffensive per l’ambiente e per la salute (come nelle ipotesi in cui difetti l’autorizzazione in caso di raccolta, trasporto, smaltimento dei rifiuti, etc.); altre condotte sono sanzionate anche se il pericolo per l’ambiente c’è, ma non è grave (ad es. superamento minimo dei valori di qualità dell’aria); altre ancora sono sanzionate anche se preposte più a tutelare la pubblica fede che l’ambiente”. Per ulteriori commenti, si vedano Manna, La nuova legislazione penale in tema di tutela penale dell’ambiente tra illegittimità comunitarie e illegittimità costituzionali, in Arch. pen., 2011, 763; Carino-Vanetti, I reati ambientali per le società: commento alla recente circolare Assonime, in Ambiente & Sviluppo, 2012, 10, 845; Scarcella, Reati ambientali e responsabilità amministrativa degli enti nella circolare Assonime 15/2012, in Resp. amm. soc. enti, 2013, II, 201.
  4. Circolare Assonime n. 15 del 28 maggio 2012.
  5. Regolamento (CE) n. 1221 del 25 novembre 2009, recante “Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sull’adesione volontaria delle organizzazioni a un sistema comunitario di ecogestione e audit (EMAS)”, che abroga il regolamento (CE) n. 761/2001 e le decisioni della Commissione 2001/681/CE e 2006/193/CE
  6. Bortoletto-Parodi, Modello organizzativo e reati ambientali: luci e ombre dopo la riforma nel rapporto con il testo unico dell’ambiente, in amm. soc. enti, 2012, I, 147.
  7. Pen., Sez. VI, 20/12/2013, n. 3635, in Riv. it. dir. proc. pen., 2014, 2, 988, secondo cui “tale operazione si trasformerebbe, in violazione del principio di tassatività del sistema sanzionatorio contemplato dal d.lgs. n. 231 del 2001, in una disposizione aperta, dal contenuto elastico, potenzialmente idoneo a ricomprendere nel novero dei reati-presupposto qualsiasi fattispecie di reato, con il pericolo di un’ingiustificata dilatazione dell’area di potenziale responsabilità dell’ente collettivo, i cui organi direttivi, peraltro, verrebbero in tal modo costretti ad adottare su basi di assoluta incertezza, e nella totale assenza di oggettivi criteri di riferimento, i modelli di organizzazione e di gestione previsti dal citato D.lgs., art. 6, scomparendo di fatto ogni efficacia in relazione agli auspicati fini di prevenzione”.
  8. Vergine, Tanto tuonò…che piove! A proposito dell’art. 3, d.l. n. 136/2013, in Ambiente & Sviluppo, I, 2014; Scarcella, Campania sì, Campania no, la terra dei fuochi…: dal decreto alla legge di conversione, in Ambiente & Sviluppo, IV, 2014; Alberico, Il nuovo reato di combustione illecita di rifiuti, in dirittopenalecontemporaneo.it, 17 febbraio 2014; Ruga Riva, Il Decreto “Terra dei fuochi”: un commento a caldo, in www.lexambiente.it.
  9. Chilosi, La responsabilità amministrativa degli enti dipendente dai reati ambientali: il punto a tre anni dal D.lgs. 121/2011 e prospettive di riforma a seguito del nuovo disegno di legge sui delitti contro l’ambiente, in amm. soc. enti, III, 2014
  10. Bigatti, Acque, AIA e sanzioni – Le sanzioni applicabili al gestore di un impianto soggetto ad A.I.A. in caso di superamento dei limiti massimi di emissione dei parametri previsti dalla normativa in materia di scarichi idrici il cui rispetto sia stato imposto dal provvedimento di autorizzazione, in www.lexambiente.it.

 

Per approfondimento, si consiglia:

👉🏻 Manuale di Diritto penale ambientale, Zanichelli Editore, II^ ed., 2024

👉🏻 I reati nella gestione dei rifiuti e bonifica dei siti inquinati, Pacini Giuridica, II^ ed., 2023

👉🏻 I reati nella gestione delle emissioni in atmosfera, Pacini Giuridica, 2022

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