Rischio biologico da SARS-CoV-2 e compliance aziendale tra falsi miti e speculazioni: uno sguardo alla normativa

In queste settimane di emergenza sanitaria sono molti i nodi lasciati irrisolti dalla decretazione di emergenza e spesso confuse le risposte che, nell’overdose informativa che tanto va per la maggiore, i rappresentanti istituzionali riescono a fornire. Uno dei temi che più preoccupa gli imprenditori italiani è legato alle misure da adottare sotto il profilo della gestione della salute e della sicurezza nel luogo di lavoro. 

Tra i tanti interrogativi, c’è n’è uno che più di tutti attanaglia Datori di Lavoro e quanti rivestono ruoli di responsabilità in questo settore: “Quali sono queste misure?” E soprattutto, al di là dei tredici punti del Protocollo condiviso di sicurezza del 14 Marzo 2020 e pur essendo indubbio che le cautele richieste investano trasversalmente l’intera compliance aziendale, “vi è un obbligo giuridico di aggiornare il Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) inserendovi, tra i fattori di rischio potenziale, il rischio biologico di contagio da SARS-CoV-2 (responsabile del Covid-19)?”

Se la preoccupazione è concreta, il miglior vaccino – per restare in tema – è leggere attentamente la normativa e non lasciarsi andare al facile (e purtroppo dilagante) malcostume di acquistare online pacchetti preimpostati per il solo spauracchio della sanzione che, per inciso, non garantirebbero comunque di andare esenti da responsabilità. La questione va, infatti, risolta in punto di diritto. 

La soluzione non può essere rinvenuta nella normativa di emergenza, che ripete ormai il solito mantra di fornire raccomandazioni di carattere estremamente generico, demandando all’iniziativa imprenditoriale il delicato compito di entrare nel merito della valutazione e al processo penale quello di fungere da refugium peccatorum di tutti gli inestetismi della legge. 

La disciplina di riferimento non può che essere il D. Lgs. n. 81/2008, il Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.

Aderendo strettamente ai dettami del Titolo X, appositamente dedicato all’esposizione ad agenti biologici, si apprende che il rischio biologico cui sono esposti i lavoratori deve essere oggetto di specifica valutazione ed inserito nel DVR, ai sensi dell’art. 271, solo qualora sia un rischio “deliberato” – perché l’agente biologico è stato appositamente introdotto nel ciclo produttivo per essere studiato, trattato o manipolato, come accade tipicamente all’interno dei laboratori di ricerca – o comunque “accidentale aggravato” rispetto al rischio generico che grava sulla popolazione comune – si pensi agli addetti al Servizio Sanitario, al personale addetto alla manutenzione dei sistemi di depurazione delle acque reflue e a tutte le altre attività riportate a titolo esemplificativo e non esaustivo nell’Allegato XLIV del Decreto.

Solo in queste ipotesi l’ambiente lavorativo potrebbe costituire fonte di un incremento del rischio di contagio da SARS-CoV-2. In tutti gli altri contesti professionali e produttivi, invece, la probabilità per i lavoratori di venire in contatto con tale agente biologico è esattamente pari a quella che grava sulla popolazione non lavorativa, quindi la medesima che si incontrerebbe in qualsiasi incombenza del quotidiano, non essendo legata alla specificità delle lavorazioni. Conseguentemente, tali organizzazioni aziendali non parrebbero soggette alle disposizioni del Titolo X del Testo Unico, non potendosi ravvisare un’esposizione “deliberata”“potenzialmente aggravata” che richiede l’obbligo puntuale della valutazione del rischio biologico specifico e dell’integrazione del DVR.

Ciò non significa, beninteso, che non sia opportuno o consigliabile farlo: al di là dei precetti specifici contenuti nel D. Lgs. n. 81/2008 e di una normativa che espressamente lo impone, la cristallizzazione delle misure adottate per il contenimento sul posto di lavoro del rischio biologico specifico da SARS-CoV-2 è senza dubbio una scelta massimamente cautelativa, specie per i risvolti applicativi che potrebbe avere nell’ottica di un eventuale processo penale.  In questo senso si è espresso anche l’Ispettorato Nazionale del Lavoro: pur non ritenendo “giustificato l’aggiornamento del Documento di Valutazione dei Rischi in relazione al rischio associato all’infezione”, fatta eccezione per “il caso degli ambienti di lavoro sanitario o socio-sanitario o qualora il rischio biologico sia un rischio di natura professionale, già presente nel contesto espositivo dell’azienda”, l’INL ha invitato caldamente le Aziende a lasciar traccia scritta di tutte le misure comunque adottate per il contrasto dell’emergenza Coronavirus, suggerendo di raccoglierle in una appendice del DVR, a dimostrazione di aver agito al meglio, anche al di là dei precetti specifici del d.lgs. n. 81/2008”.

Se infatti non v’è dubbio che il Testo Unico circoscriva i rischi che devono essere oggetto di risk assessment ed inseriti nel DVR ai soli rischi professionali, ossia a quelli endemici all’attività lavorativa perché hanno ragione di svilupparsi in relazione alla specifica mansione svolta dal lavoratore all’interno dell’organizzazione aziendale – dovendo essere tale, ai sensi degli artt. 2 co. 1, lett. l), m) e n), l’interpretazione preferibile della formula “tutti i rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori” di cui agli artt. 15, co. 1 lett. a) e 28, co. 1. – non possono sottacersi due aspetti.

Il primo: in risposta alle sollecitazioni provenienti dalla Confsal, il Governo Conte, all’art. 42, co. 2 del Decreto Legge “Cura Italia” (D.L. 17 marzo 2020, n. 18) ha espressamente equiparato l’infezione da Covid-19 contratta “in occasione di lavoro” ad un infortunio sul lavoro, estendendo la relativa tutela infortunistica anche al periodo di quarantena preventiva e successiva. Pur potendosi contestare la mossa (nobilissima nei fini) di equiparare l’infezione da Covid-19 ad un “evento occorso per causa violenta in occasione del lavoro” (art. 2 D.P.R. n. 11249/1965), ciò non toglie, ragionando di diritto penale sostanziale, che gli obblighi di prevenzione del contagio da Covid-19 sul posto di lavoro siano entrati a far parte a pieno titolo nel novero degli obblighi giuridici che potrebbero fondare la speciale posizione di garanzia che grava sul Datore di Lavoro in virtù dell’art. 2087 cod. civ., potendo concretare una di quelle “misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro” e quindi, stante l’operatività della clausola di equivalenza di cui all’art. 40 cpv. cod. pen., costituire il perno di un’eventuale responsabilità penale omissiva per il mancato impedimento di un infortunio-contagio da Covid-19 o addirittura della morte di un suo dipendente.

In secondo luogo, guardando alla responsabilità amministrativa dell’Ente ai sensi dell’art. 25-septies del D. Lgs. 231/2001, l’attenzione va posta sulla nuova UNI ISO 45001:2018 in materia Sistemi di Gestione per la Salute e Sicurezza sul lavoro, ossia la prima fonte internazionale di riferimento sugli standard minimi di buona pratica per la protezione dei lavoratori in tutto il mondo. La norma, nella formulazione in vigore dal 12 Marzo 2018, ha introdotto per la prima volta la nozione di “contesto dell’organizzazione”, prevedendo che le Aziende, nell’implementare il Sistema di Gestione in aderenza agli standard internazionali, siano chiamate ad analizzare anche l’ambiente esterno con cui l’organizzazione interagisce e a tenere in considerazione, oltre alle esigenze dei lavoratori, anche i bisogni e le aspettative della popolazione esterna al contesto aziendale (le cd. parti interessate).

Ecco allora che, in un’ottica squisitamente processual-penalistica, documentare in modo formale le misure adottate per contenere l’emergenza sanitaria in atto, all’interno del Documento di Valutazione dei Rischi piuttosto che in una sua appendice o nel Sistema di Gestione, costituisce un valido strumento per circoscrivere i profili di colpevolezza del Datore di Lavoro e di chi riveste ruoli e responsabilità aziendali in materia di salute e sicurezza, oltre che della colpa organizzativa dell’Ente come fonte di responsabilità amministrativa da reato.

Elena Massignani

Facebook
WhatsApp
Telegram
Twitter
LinkedIn