Transizione energetica: se la soluzione fosse cercare il “cigno nero”?

Nel 2007, il matematico Nassim Nicholas Taleb ha pubblicato il saggio intitolato “Il cigno nero”. La teoria del Cigno Nero, o teoria degli eventi imprevedibili, è una metafora che esprime il concetto per cui un evento con un forte impatto è una sorpresa per l’osservatore. Una volta accaduto, l’evento viene razionalizzato a posteriori. Taleb voleva dimostrare come, una volta che l’evento impronosticabile è accaduto (come, appunto, vedere un cigno nero) questo diventa un pensiero plausibile e ritenuto replicabile.

Negli ultimi anni, il primo evento catalogabile quale “cigno nero” è stato senza dubbio l’11 settembre che, per la prima volta, ha dilaniato e ferito la più grande potenza al mondo, gli Stati Uniti, mettendo in mostra le nostre insicurezze e paure e esasperando la cultura del sospetto; ed ancora, la crisi dei mutui sovrani del 2011 che ha coinvolto numerosi Paesi europei sino ad allora ritenuti economicamente solidi e prosperi, lontani dal default, che ha reso “pareggio di bilancio” e “spread” termini di uso quotidiano e i cui effetti, ormai a dieci anni di distanza, sono ancora evidenti.

Il più grande evento assimilabile a tale teoria, d’altro canto, è sicuramente il Covid-19 e la conseguente pandemia che ne è derivata. L’Occidente, sino a quel momento, aveva vissuto ritenendosi teoricamente superiore, confidando nel progresso tecnologico, medico e sociale, quale baluardo granitico contro un simil scenario.

Eppure il virus ha messo in mostra tutte le debolezze e le fragilità di un sistema ritenuto “too big to fail”: per la prima volta, isolati a causa del lockdown, ci siamo resi conto che le fondamenta della nostra società potevano sgretolarsi rapidamente per colpa di un “semplice” virus e che, ritenendo il “cigno nero” ormai plausibile, dovevamo modificare sostanzialmente ciò che avevamo costruito.

Dal febbraio dell’anno scorso, quindi, abbiamo dovuto ripensare i paradigmi del nostro mondo, convinti che una corsa sfrenata per il raggiungimento di obiettivi sempre più ambiziosi, in primis in ambito economico e tecnologico, non fosse più sostenibile. Da qui la creazione del Ministero della transizione ecologica, il Piano nazionale di ripresa e resilienza, il Piano Next Generation EU e il Recovery Fund.

Come detto, però, ci siamo concentrati soprattutto sul ripensare il nostro modello sociale. Abbiamo ascoltato nuovamente discorsi attorno al nucleare dal Ministro Cingolani, abbiamo ripreso a parlare di mobilità sostenibile, di aziende “carbon neutral”, di “net-zero emissions”, tecnologie sì da implementare, ma fortemente radicate proprio alle certezze che hanno costruito il nostro sistema e, quindi, anche il nostro problema.

E se, al contrario, dovessimo pensare fuori dagli schemi? Se dovessimo proprio implementare la ricerca e le nuove tecnologie per trovare il nuovo “cigno nero”?

È in questa direzione che si può inquadrare il progetto di Eni e Cfs sulla fusione a confinamento magnetico. È stato condotto con successo il primo test al mondo del magnete con tecnologia superconduttiva HTS (HighTemperature Superconductors) che assicurerà il confinamento del plasma nel processo di fusione magnetica. La fusione a confinamento magnetico, tecnologia mai sperimentata e applicata a livello industriale finora, è una fonte energetica sicura, sostenibile e inesauribile che riproduce i principi tramite i quali il Sole genera la propria energia, garantendone una enorme quantità a zero emissioni e rappresentando una svolta nel percorso della decarbonizzazione. Sulla base dei risultati del test pilota, Cfs prevede la costruzione entro il 2025 del primo impianto sperimentale a produzione netta di energia denominato “SPARC” e successivamente quella del primo impianto dimostrativo, “ARC”, capace di immettere energia da fusione nella rete elettrica.

La portata di questo risultato è senza precedenti. Nell’affannosa corsa per abbattere emissioni, per rendere ecosostenibili vecchi modelli tecnologici e di business, la soluzione potrebbe essere pensare “out of the box”, sottrarsi alla “tunnel vision” tipica del mondo occidentale, da sempre geloso della propria posizione di presunta superiorità e, quindi, restio a percorrere sentieri non battuti.

Data la mole di investimenti, l’assunzione del rischio d’impresa per simili progetti non è alla portata di tutti. Non ci si può aspettare che siano le piccole e medie imprese le protagoniste di questo cambiamento. Al contrario, servirebbero investimenti di grandi aziende e programmi di organismi internazionali volti a segnare nuove strade e premiare innovazione e la ricerca.

Occorre prendere coscienza che non si può rispondere in modo univoco alla sfida della decarbonizzazione, ma che, al contrario, soluzioni possano essere rappresentate da politiche lungimiranti ed investimenti coraggiosi. Le aziende devono essere coordinate in uno schema più ampio di strategie nazionali e internazionali, che le impegni nell’ottica di un generale interesse collettivo. Agli organismi internazionali, in primis all’Unione europea, non si possono solamente richiedere fondi e risorse, ma è necessario sottoporre idee innovative per cercare il nuovo “cigno nero”.

E così, se realmente si vuole puntare ad una società equa, ad un abbattimento delle differenze, economiche e sociali, se realmente si vuole ripensare un modello, allora sì che eventi imprevedibili possono concretamente rappresentare le possibilità del nostro futuro e le fondamenta di un domani diverso.

Enrico Napoletano

Simone Spinelli

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